Storia dell’inflazione e perché questa volta (forse) è diversa

24 Marzo 2023

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Parlare d’inflazione con un economista o peggio con chi si occupa di finanza, è sempre rischioso perché si cade ben presto in aspetti tecnici, che confondono anche i più volenterosi generando dubbi ed incertezze.

Dunque in questo articolo proveremo a ripercorrere la storia, alla ricerca delle cause di questo fastidioso fenomeno economico-monetario raccontando cosa è accaduto quando vi è stata un’esplosione dei prezzi e quali fattori hanno manifestato i loro nefandi effetti per ragioni tra loro diverse seppur con risultati molto simili. Proveremo quindi a capire perché quand’essa esplode è assai difficile porvi rimedio. Ma andiamo per gradi.

La moneta per quanto si pensi esista da sempre, in realtà è un’innovazione relativamente recente. Per molti millenni gli uomini hanno scambiato beni e merci usando oggetti con funzioni monetarie ma che non avevano tutte le caratteristiche di quest’ultima: unità di conto, mezzo di scambio e riserva di valore. Conchiglie, metalli preziosi capi di bestiame, e chi più ne ha più ne metta, sono stati i surrogati dei soldi per millenni. Se oggi diciamo capitale è perché questo termine deriva da “capita” ovvero capo di bestiame, o se usiamo il gergo “grano” per indicare i soldi, è perché in antichità fu il principale bene di scambio con qualsiasi altra merce. È sorprendente pensare che le più grandi e gloriose civiltà del passato non conoscessero l’esistenza dei soldi. Mi riferisco agli antichi Egizi, agli Assiro-Babilonesi, ai Persiani ed anche agli antichi Greci e Romani che li conobbero solo in un secondo momento, e forse proprio grazie al loro utilizzo su larga scala furono così determinanti per i destini dell’umanità nei secoli a venire.

Il denaro sotto forma di dischetti di metallo per lo più prezioso fu introdotto per la prima volta tra la fine del VII secolo e l’inizio del VI a.C., quasi contemporaneamente in Cina ed in una regione dell’attuale Turchia all’epoca sotto il controllo di alcune Polis della Grecia. Ma furono proprio quest’ultime a coniare le monete più belle e pure, a partire dal IV secolo a.C., e quando i Romani annessero definitivamente le città Elleniche, alla Repubblica prima ed all’Impero poi, la moneta prese il sopravvento nei rapporti commerciali diventando il vero e proprio faro dello sviluppo dell’umanità. L’inflazione quindi altro non è che una crescita progressiva del livello generale dei prezzi nel tempo causata da un eccesso di moneta povera rispetto ai beni che si possono scambiare. Ricordiamoci bene questo concetto di moneta povera perché il grande economista inglese Thomas Gresham intuì che il valore di una moneta di riserva e con un alto valore intrinseco dà un potere enorme a chi è in grado di imporla, rispetto al denaro privo di queste caratteristiche. Se i prezzi aumentano, la moneta perde valore, ma come vedremo, vale anche l’inverso.

Per essere ancor più chiari se con 100 Euro di ieri, oggi puoi comprare meno, e se il tuo stipendio non cresce alla stessa velocità dei prezzi, significa solo una cosa: sei immerso in un contesto di alta inflazione. Ma addentriamoci nella storia. Dopo le conquiste di Giulio Cesare e la presa del potere di suo nipote Ottaviano Augusto, nell’antica Roma si afferma un impero nel quale furono costruiti oltre 80 mila chilometri di strade, migliaia di km di acquedotti, decine di anfiteatri, e numerosissime opere pubbliche che usiamo ancora oggi. Ma non solo: il nostro alfabeto, il calendario, moltissime lingue, la letteratura e l’architettura di gran parte del mondo traggono origine dall’eredità degli Antichi Romani. Ma su cosa si basò questo sorprendente potere che durò quasi mille anni, cinquecento dei quali da assoluti protagonisti? Sulla forza dell’esercito dirà qualcuno, in realtà solo parzialmente; perché la maggior parte dei loro successi, i Romani li ottennero grazie al saggio uso della moneta.

Così come alcune tra le loro più cocenti sconfitte ad un suo utilizzo improvvido, che portò finanche alla caduta di un apparato potentissimo e assai complesso. La principale moneta d’argento usata durante i primi secoli dell’Impero fu il Denarius, da cui deriva proprio la parola denaro e che corrispondeva inizialmente a 4 Sesterzi. Con questa moneta si poteva pagare circa un giorno di stipendio per un lavoratore qualificato o un artigiano. Nei primi decenni dell’Impero, queste monete erano di elevata purezza, contenendo ognuna 4,5 grammi di argento purissimo. Tuttavia, l’argento e l’oro iniziarono a scarseggiare, e la spesa romana fu presto limitata dalla quantità di denari che potevano essere coniati, e ciò rese davvero difficile il finanziamento dei progetti degli imperatori. C’erano guerre da pagare, costi di palazzo, le terme, i giochi dei gladiatori e mille altri capricci. Fu così che i funzionari romani trovarono un espediente: diminuirono la percentuale di metallo prezioso contenuto nelle monete facendo conoscere ai nostri progenitori, in tutta la sua brutalità, l’inflazione.

Il primo a “giocare” coi soldi fu Nerone, ma sotto l’Impero di Marco Aurelio, quello del film il Gladiatore per intenderci, un denario conteneva circa il 25% di argento in meno dei tempi di Augusto. Caracalla, poi, sperimentò un diverso metodo di degradazione, introducendo il cosiddetto “doppio denario”, che valeva appunto il doppio di una moneta regolare, pur pesando solo 1,5 volte di più. Vi lascio immaginare cosa accadde! Nonostante la riforma voluta da Diocleziano tra la fine del III ed inizio del IV secolo d.C., per tamponare la situazione, già pochi decenni dopo ai tempi di Gallieno, le monete arrivarono a contenere soltanto il 5% di argento. Erano fatte di bronzo e ricoperte con un sottile strato di metallo prezioso. Le monete d’oro, Aurei e Solidi, subirono lo stesso trattamento e siccome venivano usate in particolare per pagare gli eserciti non è difficile capire perché proprio a partire dal III secolo d.C. l’impero iniziò a sfaldarsi con un’impennata dei costi logistici e amministrativi, per i quali i cittadini incorsero in sempre maggiori tasse per sostenere gli oneri di un apparato che da lì a poco si dissolse miseramente.

Facendo un volo pindarico di oltre 1000 anni ci fu un altro periodo d’inflazione intensa e prolungata a cui gli storici diedero il nome di “rivoluzione dei prezzi”. In un primo momento la causa fu individuata nel massiccio arrivo di metalli preziosi “dal Nuovo Mondo”. Per questo fu chiamata anche “l’inflazione dei ricchi”, poiché l’aristocrazia fu inizialmente la classe più colpita di tutte. Infatti, essa percepiva dai propri contadini dei canoni fissi in denaro che da tempo avevano sostituito quelli in natura oppure delle prestazioni d’opera. Inoltre l’afflusso d’oro dall’America aveva aumentato enormemente la quantità di denaro circolante e dunque coloro che lo prestavano furono costretti a diminuire gli interessi con conseguenti minori guadagni. Chiaramente corsero subito ai ripari e iniziarono ad accumulare ingenti quantità di metalli preziosi contribuendo ad aggravare una situazione inflazionistica già in atto. In pratica, esisteva una grande abbondanza di oro e argento senza alcun sviluppo produttivo, che arricchì smisuratamente una piccola élite a scapito delle masse, proprio come è accaduto recentemente, prima del Covid, con un assottigliamento della classe media ed un incredibile concentrazione di ricchezza nelle poche mani di chi ha beneficiato particolarmente del Quantitative Easing.

Tuttavia alcuni studiosi hanno notato che il processo inflazionistico era già in atto dalla metà del XIV secolo per continuare fino verso la metà del XVI. Più schiavi, più materie prime e maggiore moneta portarono ad un incremento demografico che spinse ad un aumento improvviso della domanda che, a sua volta, causò la lievitazione dei prezzi dei beni alimentari, la cui offerta non poteva essere aumentata viste le tecnologie dell’epoca. Un cane quindi che si mordeva la coda. Alla “rivoluzione dei prezzi” seguirono altri casi di inflazione fuori controllo, come quella avvenuta in Francia all’epoca della rivoluzione francese. Ma sicuramente il caso più emblematico e dibattuto dagli economisti, si ebbe in Germania al termine della prima guerra mondiale. Quando di tratta di iperinflazione infatti non si può non citare il fallimento della Repubblica di Weimar. Nata alla fine del 1918 sotto le migliori intenzioni, fu la prima democrazia moderna in Europa che introdusse il suffragio universale, la piena libertà di stampa e quella di espressione politica permettendo la nascita di partiti di estrema destra e di estrema sinistra, e fu centro di una rivoluzione culturale che avrebbe voluto ridisegnare il tessuto socio-economico dell’Europa intera.

Purtroppo sotto il peso dei debiti accumulati nella prima guerra mondiale ed alla successiva repressione dei partiti di sinistra che volevano allineare il Paese alle posizioni filo sovietiche, la situazione precipitò rapidamente portando al suo inevitabile fallimento nel 1933. Il Governo provvisorio avrebbe voluto istituire un modello repubblicano che riuscisse a rimanere entro politiche liberali e in maggiore sintonia con gli altri Paesi europei. Purtroppo non andò così e per far fronte all’endemica penuria di metalli preziosi nelle casse della Bundesbank, si iniziò a stampare banconote di carta emesse per pagare i debiti di guerra. Tutto ciò causò la rapidissima svalutazione della moneta facendo esplodere l’iperinflazione e impedendo la ripresa dell’economia. Si arrivò a emettere banconote per svariati miliardi di marchi con le quali ci si comprava a malapena un panino. Centinaia di fabbriche stamparono giorno e notte cartamoneta, con sopra delle cifre sempre più iperboliche. Tutto ciò portò ad un aumento smisurato e continuo dei prezzi, che impoverì l’economia tedesca alimentando l’insofferenza e il malcontento popolare che furono terreno fertile per la nascita del nazismo poco dopo.

Se il denaro immesso non segue la crescita economica, i prezzi perdono la loro funzione di segnalare, attraverso la scarsità, la migliore allocazione delle risorse facendo impazzire il sistema. Un aumento che impoverisce soprattutto i più deboli, perché nell’iperinflazione sono i più furbi ad avvantaggiarsi. A rimetterci sono all’inizio, coloro che detengono un reddito fisso, come i lavoratori dipendenti mentre temporaneamente si salvano coloro che possono adeguare le proprie entrate alla continua ascesa dei prezzi. Con il tempo, però, anche gli imprenditori iniziano ad essere in difficoltà, in quanto è sempre più arduo trovare nuovi clienti in un circolo vizioso che porta al fallimento.

Situazione che si è vissuta nel 1929, anche negli Stati Uniti seppur per ragioni molto diverse. Arrivati a questo punto dovrebbe essere ormai chiaro che l’inflazione è un fenomeno che si genera quando si rompe qualcosa nel delicato equilibrio che regola la quantità di moneta e la frequenza ed intensità delle attività economiche. Se c’è troppo denaro o viceversa l’appetibilità di quello circolante cala improvvisamente, parte l’inflazione.

Se poi l’economia rallenta di botto a causa di un evento inatteso, come una guerra o una pandemia, si generano disequilibri tali, che le autorità monetarie fanno fatica a contenere adeguatamente. Quindi se le parole di Larry Fink, amministratore delegato del più grande gestore al mondo, fossero vere, cioè che ci troviamo nell’epoca della deglobalizzazione, non è improbabile attendersi che il recente aumento dei prezzi si manterrà a lungo e l’economia dovrà riaggiustarsi profondamente, prima di veder tornare i prezzi ai livelli che ci eravamo abituati a godere negli ultimi venti anni. D’altra parte con il livello dei debiti accumulati in questi decenni, l’inflazione, se non sfuggirà di mano, consentirà di ridurre l’onere delle migliaia di miliardi di obbligazioni pubbliche ancora in circolazione. In conclusione come disse il grande scrittore tedesco Lichtenberg, l’inflazione è come il peccato, ciascuno la denuncia, però quasi tutti i governi la praticano.

Alex Ricchebuono – www.ricchebuono.com

Ha oltre 24 anni di esperienza nel settore dell’Asset Management ed ha ricoperto ruoli di responsabilità per lo sviluppo commerciale a livello europeo in società di primaria importanza tra le quali: Credit Suisse, Janus Capital, American Express e Bnp Paribas. È stato tra i soci fondatori dell’Associazione Italiana del Private Banking e membro del primo consiglio di amministrazione. Vive e lavora tra Milano e Londra ed è Partner di New End Associate, piattaforma Inglese per la distribuzione di alcuni dei più importanti gestori alternativi internazionali.

Scrive libri e articoli sulla storia della finanza ed è appassionato di storia economica ed evoluzione della Moneta. Ha realizzato una serie di video pillole per Il Sole 24 Ore dal titolo “I soldi Raccontano”. Ha inoltre condotto per la Radio Televisione Italiana il documentario in 4 puntate Money Art andato in onda su RAI 5, nel quale ha raccontato gli intrecci tra il mondo della finanza e quello dell’Arte. È un grande collezionista di documenti legati alla storia economica e del denaro.


Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 9) – vedi anche tutti i numeri della rivista

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