Energia, Denaro e Guerre: la storia ci (potrebbe) insegna(re)

23 Dicembre 2022

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Mentre l’economia globale lotta per non entrare in recessione, l’Eurozona rischia il collasso ed il Dollaro non smette di rafforzarsi, le tensioni sul fronte geopolitico con Cina e Russia sembrano peggiorare di giorno in giorno; dunque esaminare la crisi in corso nella sua prospettiva storica e materiale credo possa essere utile per inquadrare il contesto al di fuori della cronaca.

Questa guerra che in primis è economica, ha tutta l’aria di uno scontro fra potenze in un mondo che spinge per diventare multipolare. Ma perchè un contrasto così acceso proprio ora? Una delle spiegazioni più logiche pare essere legata alla transizione energetica e tecnologica, perchè il passaggio da un’economia basata su fonti fossili ad una che si poggia su energie pulite non è un processo privo di conseguenze. Anzi! Per mantenere infatti la crescita attuale, abbandonando gradualmente le fonti più inquinanti, sarà necessario un largo consumo di altri tipi di materie prime che chiameremo “critiche”, non sempre prive di problemi di impatto ambientale ma soprattutto che contribuiscono a ridisegnare la geopolitica mondiale. Per diventare climaticamente neutra, efficiente dal punto di vista energetico e più competitiva nell’era digitale, l’Unione Europea avrà bisogno di materie prime, appunto “critiche”, come il litio e il cobalto; così come rame, zinco, neon e le terre rare; un gruppo di 17 elementi chimici indispensabili per la costruzione di chip ed apparatati elettronici, che non dispone però sui suoi territori.

In larga parte questi metalli sono nelle disponibilità di Paesi non proprio “amici” e ciò è senz’altro uno dei principali motivi del contendere. Queste materie prime infatti consentono lo sviluppo di vari settori strategici, quali le energie rinnovabili, le auto elettriche e la totalità delle tecnologie digitali e cibernetiche. Insomma tutto quello che viene richiesto per la transizione al mondo “Smart”, “Digital” e “Green”.

Le catene di rifornimento globali, le celeberrime supply chains, già da tempo in difficoltà a causa della pandemia di Covid-19, hanno ricevuto un durissimo colpo con l’attuale tensione geopolitica portando ad una carenza endemica di materie prime critiche, lasciando svariati settori industriali ad affrontare sfide epocali per garantirsi l’accesso alle risorse necessarie al loro funzionamento e non ultimo spingendo i prezzi al rialzo praticamente su tutto. Ci vorrebbe uno scudo. E no, non intendo quello di un’armatura, bensì uno scudo tettonico che in geologia altro non è che una vasta area stabile, di roccia cristallina formatasi oltre 500 milioni di anni fa, nella quale abbondano tutti questi metalli.

Tali rocce sono state poco influenzate da eventi geologici successivi e oggi gli scudi, sono regioni relativamente piatte per effetto della livellazione creata dai lunghi processi erosivi a cui sono state sottoposte. Vi lascio immaginare di quali aree stiamo parlando.

Lo Special Report of Minerals in Clean Energy Transitions, pubblicato dalla AIEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), affronta le criticità che stanno emergendo se non verranno trovate soluzioni sostenibili. Le quote necessarie per soddisfare il fabbisogno di nuove tecnologie faranno crescere in modo esponenziale la domanda complessiva di molti minerali. Per fortuna non tutti i conflitti degenerano in guerre più ampie, ma come segnalato dalle più autorevoli agenzie mondiali, in tutti i paesi del mondo, dove si registrano le dispute più significative, la causa principale è sempre ascrivibile alla scarsità di risorse naturali o al loro eccessivo sfruttamento.

Ma è questa una novità? Assolutamente no! Solo che dopo un lunghissimo periodo di stabilità e pace nel mondo occidentale l’abbiamo dimenticato. In effetti, già molte volte nella storia si è assistito a tentativi di guerre non convenzionali che hanno spostato i conflitti fuori dai campi di battaglia per trasferirli nel più complesso e ambiguo ambito economico. Il Giurista Carl Schmitt nella sua opera maestra scrisse: “Chi domina il mare domina il commercio del mondo e a chi domina il commercio del mondo appartengono tutti i tesori del mare ed il mondo stesso”. Tenendo a mente questo assunto, la cui nascita risale addirittura al conflitto tra Atene e Sparta, è chiaro che, avere il controllo delle materie prime è da sempre la fonte principale per imporre il proprio potere sugli altri, con armi peraltro costruite usando, sia ieri che oggi, appunto quelle materie.

Gli antichi Greci ad esempio, chiamavano la loro moneta, Nomisma, che da consuetudine, si trasformò in “imposta per legge”, una volta che riuscirono ad attribuirle un valore di scambio superiore a quello del metallo prezioso che conteneva. Tutto questo grazie alle risorse minerarie d’argento che si trovavano nel Monte Laurio in Grecia. Il primo esempio di effetto leva della storia che convinse molte Polis, in primis quelle situate nel Sud Italia, ad accettare questa innovazione, perpetuando il dominio Ellenico nel Mediterraneo per secoli.

Questo denaro nuovo e standardizzato che agevolava gli scambi, consentì il trasferimento di ricchezza tra generazioni, contribuendo altresì alla nascita ed all’affermazione di una nuova classe abbiente di commercianti e professionisti in grado di dare vita ad una delle fasi culturali e tecnologiche più effervescenti della storia antica. I Romani poi fecero della moneta e del suo utilizzo non convenzionale, grazie e soprattutto al controllo delle miniere d’oro e d’argento dei territori via via conquistati, uno dei perni su cui si resse la forza dell’impero. Dapprima usando il metallo giallo solo per scambi di grande valore e tendenzialmente al di fuori dei territori nazionali, imponendo poi una moneta d’argento, il Denarius, per la maggioranza delle transazioni ed infine applicando dazi in metallo prezioso a tutte le nuove province conquistate. Impedendo di fatto l’insorgere di qualche moneta “più pura” che potesse competere con quella “ufficiale”, qualcosa che ricorda il Dollaro dei giorni nostri.

In tempi più recenti e sempre con il mito degli antichi Romani in mente, Napoleone provò a sperimentare una guerra economica frontale contro il Regno Unito attivando il cosiddetto blocco continentale. Dopo aver conquistato moltissimi territori e celebrando ogni vittoria con coniazioni in stile imperiale Romano, decise di fare un salto in avanti nella strategia militare coinvolgendo anche la sfera economica e per questo attivò il “blocco”. Con questo termine si intendeva il divieto, emanato dall’Imperatore col cosiddetto Decreto di Berlino del 21 novembre 1806, di attracco alle navi battenti bandiera inglese in qualsiasi porto dei paesi soggetti al dominio Francese, boicottando in pratica ogni merce d’Oltre Manica.

Sebbene l’economia inglese non fosse autosufficiente produceva manufatti molto richiesti in quell’epoca, e il tutto fu reso molto più difficile del previsto poiché gli inglesi disponevano di una flotta navale e competenze marittime molto superiori a quelle francesi. Napoleone fu costretto quindi a imporre ai territori sotto il suo controllo di interrompere ogni rapporto con i sudditi di Sua Maestà, giustificando questa palese violazione del diritto internazionale con ragioni di Stato. Chiaramente si rilevò un’idea fallimentare poichè poco dopo la sua emanazione, chiunque commerciasse con gli inglesi faceva affari d’oro potendo spuntare prezzi molto più alti.

Ma la situazione precipitò a tal punto che lo Zar di Russia si svincolò in fretta e pure il super fidato Gioacchino Murat, suo braccio destro fin dai tempi in cui era solo un imberbe generale, nonchè marito di sua sorella Carolina, lo tradì, aprendo un ricchissimo mercato nero con gli Inglesi appena divenne re di Napoli. Insomma le sanzioni si ritorsero contro lo stesso Napoleone che in risposta ebbe la bizzarra idea di iniziare la campagna di Russia che lo avrebbe portato da lì a poco all’esilio sull’isola d’Elba prima e a quello definitivo, fino alla sua morte, nella remota isola di Sant’Elena, poi. Già da questi primissimi esempi risulta chiaro che la guerra è una decisione politica, ed al di là di qualsiasi spiegazione pseudo scientifica o peggio religiosa, è un’attività che comporta sempre nefande conseguenze sia ai vinti ma molto spesso anche agli stessi vincitori.

Come aveva intuito brillantemente Victor Hugo nel 1859:

“Verrà un giorno nel quale non ci saranno altri campi di battaglia se non i mercati che si aprono al commercio”. In pratica, la guerra economica è la prosecuzione delle operazioni militari con altri mezzi e si traduce nell’intervento degli Stati sui mercati dei capitali al fine di distorcere la concorrenza a proprio vantaggio, per catturare attività ed impieghi, investimenti e talenti. Il protezionismo è la forma principe nella quale si gioca questa guerra occulta attraverso norme giuridiche, fiscali, contabili, sociali o ambientali. Questa strategia, essenzialmente difensiva, è stata completata negli ultimi decenni con strumenti più offensivi come la presa di controllo di tecnologie all’avanguardia e il dominio di nuovi ambiti ancor più strategici dei mari, quali lo spazio ed il cyberweb. Fino a giungere a forme più meschine come la contraffazione, il mercato nero, ed il sostegno a governi compiacenti con ricatti più o meno velati.

Dunque che si tratti di denaro o di potere le guerre hanno quasi sempre un comune denominatore ovvero il predominio sulle materie prime “critiche”; dunque per evitare di ripercorrere le dissestate strade del passato che portano inevitabilmente a conflitti sanguinosi, è quanto mai necessaria una strategia efficace per il loro pacifico approvvigionamento tramite la diplomazia ed accordi di lungo termine, unita al passaggio ad un’economia maggiormente circolare e localizzata. Perché altrimenti, come diceva il grande giornalista americano Sydeny Harris, la storia si ripeterà, ma con un travestimento talmente astuto che non ci permetterà di rilevarne la somiglianza finché il danno non sarà compiuto.

Alex Ricchebuono www.ricchebuono.com

Ha oltre 24 anni di esperienza nel settore dell’Asset Management ed ha ricoperto ruoli di responsabilità per lo sviluppo commerciale a livello europeo in società di primaria importanza tra le quali: Credit Suisse, Janus Capital, American Express e Bnp Paribas.
È stato tra i soci fondatori dell’Associazione Italiana del Private Banking e membro del primo consiglio di amministrazione. Vive e lavora tra Milano e Londra ed è Partner di New End Associate, piattaforma Inglese per la distribuzione di alcuni dei più importanti gestori alternativi internazionali. Scrive libri e articoli sulla storia della finanza ed è appassionato di storia economica ed evoluzione della Moneta. Ha realizzato una serie di video pillole per Il Sole 24 Ore dal titolo “I soldi Raccontano”. Ha inoltre condotto per la Radio Televisione Italiana il documentario in 4 puntate Money Art andato in onda su RAI 5, nel quale ha raccontato gli intrecci tra il mondo della finanza e quello dell’Arte. È un grande collezionista di documenti legati alla storia economica e del denaro.


Tratto dalla rivista Green Company Magazine (volume 8) – vedi anche tutti i numeri della rivista

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